mercoledì 15 ottobre 2008

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Carissimi consorti =),
vi elenco di seguito quelli che secondo me sono gli ormai famosissimi suggerimenti, sperando di non cadere nel banale e nello scontato. Molte delle mie idee ho letto essere condivise da altri; perdonate, dunque, la mancanza di originalità. Cominciamo:
o Aggiornamento programmi scolastici.
Ritengo, come già avevo espresso nell’ultimo incontro, che gli argomenti trattati in sede scolastica siano focalizzati troppo sul nostro passato: ciò non permette una adeguata comprensione della società in cui viviamo, con la conseguente nascita di ignoranza, falsi miti e disinteressamento. Potenziando lo studio dell’età più vicina a noi, sarebbe, inoltre, possibile discutere di temi di attualità, soprattutto nelle classi quinte, formate da quelle persone che, inesperte, andranno a votare e sceglieranno cosa fare del proprio futuro e della società che li circonda, magari “facilitando” loro il lavoro con la lettura di quotidiani in classe.
o Incremento delle organizzazioni, istituzioni e progetti che agiscono in senso europeo.
Enti come Intercultura o iniziative come il nostro progetto sono alla base per la creazione di una “coscienza europea” che, purtroppo, ai giorni nostri manca, almeno da quanto riscontrato nel mio Paese. Nonostante che noi siamo stati protagonisti del cambio di moneta, per esempio, nessuno ha avvertito infatti un mutamento nel corso della storia: l’appartenenza all’”organismo” Europa” non sembra essersi sviluppato.
o Inserimento di nuove materie nelle scuole medie superiori.
Al fine di capire cosa siano veramente l’Unione Europea, la CEE e tutti gli enti che agiscono a livello europeo, è necessario inserire nell’apprendimento scolastico, principalmente delle scuole medie secondarie, lo studio del diritto. Esso, oltre alla parte legislativa, deve farsi carico anche di istruire i ragazzi sulla storia delle organizzazioni europee, sulla loro formazione, il loro orientamento, i loro lati positivi e quelli negativi. Anche ciò contribuirebbe notevolmente alla formazione di una “coscienza europea”.
o Esaltazione delle diversità e delle particolarità.
Sentire dentro di sé un senso di appartenenza e di comunanza con gli altri membri dell’Europa, non deve comportare una omologazione di cultura, di pensiero, di identità, di spirito e quant’altro. Tutto il contrario! Bisogna inglobare le diversità e farne il nostro punto di forza. Coltiviamo insieme il desiderio e la curiosità di approfondire diversi stili di vita, di sperimentare pratiche religiose e culturali a noi sconosciute, apriamoci all’estraneo. Realizzare ciò è semplice: perché non proviamo a vivere a fondo i paesi stranieri che visitiamo, studiamo di più le loro culture, la loro storia, la loro filosofia, la loro letteratura, meravigliandoci quando, girato l’angolo, ci facciamo sorprendere da un monumento inaspettato. Non si può studiare solo letteratura italiana e avere una idea molto molto molto (e sottolineerei molto!) vaga di quella inglese! Quando studiamo la filosofia dell’Illuminismo, per esempio, non possiamo comprenderla fino in fondo se non assaporiamo l’asprezza della lingua kantiana, se non proviamo la sensazione delle parole che, pur incomprensibili, ci tagliano la mente con i loro spigoli. E’ necessaria una maggiore internazionalità e interdisciplinarietà.
o Studio potenziato delle lingue straniere
Ricollegandomi anche al punto precedente, evidenzio la necessità di studiare diverse lingue straniere. L’inglese non basta più, è insufficiente ormai ai giorni nostri. Le frontiere si sono talmente aperte che reputo indispensabile introdurre l’obbligo fin dalla scuola dell’infanzia dello studio di due lingue europee (inglese a parte) e di una lingua orientale. Si si, una lingua orientale. Possiamo sentirci parte di quel grande meccanismo che, a noi sconosciuto, chiamiamo “Europa” anche definendolo per contrasto: ma per fare ciò, occorre conoscere cosa ci sia dopo le nostre frontiere, avvicinandoci a quelli immensi territori a noi quasi completamente ignoti. Sto parlando, ovviamente, di Cina, Giappone, India ecc ecc. Per quanto mi riguarda sarebbe molto interessante conoscere la storia di questi paesi anche per capire come oggi possiamo porci interrogativi sul continente nel quale viviamo. E se le invasioni barbariche anziché dimenticare i territori europei e rivolgersi a quelli asiatici avessero continuato a minacciarci, oggi il nostro progetto esisterebbe? Saremmo ancora noi i colonizzatori o diventeremmo i colonizzati? Sarebbe prevalso ancora l’Occidente sull’Oriente o forse saremmo noi a cercare una kimono come oggi si cercano le scarpe di Dolce e Gabbana? Si avverte sempre più l’esigenza, quindi, di inserire nuove programmi e nuove materie inerenti a questi argomenti.
o Creazione di una rivista europea dei giovani.
Quello che riscontro nei giovani della mia generazione, è anche la volontà di far sentire il proprio punto di vista, le proprie critiche nei confronti dello status quo, nuove proposte, insomma, di sentirsi chiamati in causa in una società che, al contrario, li emargina come “razza” inferiore non ancora evoluta. Perché allora non creare un giornale (quotidiano, mensile, annuario..) dove i ragazzi, in relazione alla qualità del loro operato, possono pubblicare i loro progetti e partecipare attivamente alla creazione del loro futuro?
o Stimolare la curiosità evitando il torpore.
E’ noto che più si è attivi e più si è propositivi e dinamici. I giovani sono la parte della società più soggetta a queste caratteristiche per loro natura: non hanno paura di osare, non sono ancora preda delle teorie “degli adulti” che non vedono possibile un cambiamento ma, hanno ancora la grinta per lottare per i propri ideali. Perché allora non alimentare questo fuoco interiore? Stimoliamo la loro mente e le loro facoltà con progetti come il nostro, lanciamoli alla volta dell’Europa, facciamo ardergli nel petto questo desiderio della conoscenza. Favoriamoli se vogliono studiare in altri Paesi, riconosciamogli i loro titoli di studi anche fuori dai loro Stati, organizziamo convegni su tematiche a loro vicine (politica, diritti umani, ambiente, religione, scienza…). Inoltre, evitiamo che nelle università si ritrovino ad insegnare ottantenni che con i giovani non hanno più a che fare, evitiamo di mandare (mi riferisco soprattutto all’Italia) rappresentanti in giro per il mondo che sono così distanti dal futuro, dal fermento sociale, dal progresso che non producono altro che l’analogo di quello che il governo di sinistra fece nell’Italia postunitaria, ovvero: il “trasformismo”.
o Conclusioni.
La conoscenza diffusa non può essere percepita come una mera erudizione, ma, al contrario, come dinamica, in perenne fibrillazione e movimento: un magma in continua eruzione. Non può neanche prescindere dalle emozioni: coinvolgimento, trasporto, determinazione, curiosità sono, per me, le parole che meglio la caratterizzano. In conclusione, dobbiamo anche impegnarci a rendere effettiva una idea di cultura unitaria e non frammentata. Tutto fa parte di uno stesso libro che giornalmente va aggiornato come un diario, in cui ognuno di noi scrive la propria pagina personale, strettamente legata alla propria intimità, ma, paradossalmente, fondamentale per tutti gli altri uomini del passato, del presente, del futuro (Chiara Marani).

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