Francesco Furno risponde a Lorenzo Casadei.
Dato che ho sollevato io il dibattito sul legame tra conoscenza ed emozioni proverò a illustrarti il mio pensiero attuale.
Prima di tutto, mi sembra facilmente sperimentabile che una conoscenza associata ad un'emozione, come potrebbe essere la felicità, la curiosità, o anche la paura, è una conoscenza che assume un rilievo superiore rispetto a quella che potremmo definire una "conoscenza apatica". La dottoressa Hamon ha spiegato che una qualsiasi conoscenza è sempre accompagnata da una caratteristica emotiva, che varia tuttavia sotto il profilo dell'intensità.
Quindi, sulla base di questo, assumiamo che una visione riduzionistica che tende a scindere la conoscenza dall'emozione è errata. Ciononostante, mantenendo questa organicità tra le due, pensiamo che quella che ho definito "conoscenza apatica" sia una conoscenza accompagnata da emozioni di intensità ridottissima. Ecco quindi che risulta calzante il mio esempio di conoscenza apatica riguardo alle leggi fisiche della termodinamica (nel mio caso, ovviamente).
Intuitivamente in un secondo momento, riflettendo sulla discussione, ho costruito un "ponte" tra un problema a me caro e questo legame tra emozioni e conoscenza.
Chi mi conosce e ha avuto occasione di assistere agli incontri estivi con me sa che ho particolarmente a cuore la tesi di Evandro Agazzi a proposito della crisi dell'educazione e del limite/problema della conoscenza nozionistica. In poche parole, egli critica il sistema scolastico in quanto esso non è in grado di fornire una conoscenza compresa realmente e interiormente dallo studente e che egli definisce "noetica" (da Aristotele); infatti, l'unica conoscenza che il sistema dell'istruzione è in grado di fornire è di tipo nozionistico e conseguentemente vuota, distaccata, inefficace.
Mi sono chiesto numerose volte come acquisire conoscenza sul piano noetico. Il motivo di questa preoccupazione è evidente: tale conoscenza mi è incredibilmente più utile. Con questa conoscenza, io sono più potente. Ragionando su un esempio fatto dal mio professore di storia e filosofia, riguardante la Rivoluzione Industriale e concernente la differenza tra il grado di conoscenza di un contadino che mai ha letto un libro nella sua vita e quello di uno studioso di agricoltura -in senso generale-, io assegnerei l'aggettivo "noetico" alla conoscenza del primo e "nozionistico" alla conoscenza del secondo.
Questo perchè, dopo l'incontro con la professoressa Hamon, mi sono risposto che la differenza tra il noetico e il nozionistico sta nel legame che il nostro Io instaura con la conoscenza con cui viene a contatto. Il contadino possiede un incognito numero di nozioni, non elevato; tuttavia egli le ha tutte estrapolate da un ambiente circostante che ha scatenato in lui fiumi di emozioni e ha lasciato segni indelebili sul suo Io. Egli possiede quindi una conoscenza formalmente scadente, ma di tipo noetico, quindi più potente.
I libri, per quanto ricchi, sono perlopiù apatici. Un professore svogliato o incompetente è apatico. Uno studente che non si pone domande e che non è guidato dalla curiosità, dal “thauma” (=meraviglia) vive perennemente in uno stato di apatia.
Ergo, l'emozione è il tramite tra il nostro io e il mondo che ci circonda; essa diventa il mezzo necessario in grado di convertire la nozione in "noesi" (sempre per citare Aristotele e Agazzi).
E' evidente che io non sono nè un educatore, nè un analista.
Questo non elimina però il dato fondamentale che io sia un essere umano dotato di emozioni e conoscenza. E questa ineludibile mia caratteristica mi fa affermare che ogni qualvolta ho accompagnato la conoscenza con l'emozione, la prima ne è uscita notevolmente rafforzata e mi ha dato "di più". E' diventata più potente.
Da questa riflessione possono scaturire logicamente due conclusioni (più o meno condivisibili):
1 - La ragione assoluta (nel senso di distaccata) non è il percorso adatto per porre fondamenta pratiche (etiche) all'attività umana. La mancanza di emozioni conduce ad un vicolo, che può essere formalmente corretto, ma che ignora beatamente la vera natura umana. E questo è fondamentale nella costruzione di una società europea della conoscenza.
2 – Se vogliamo migliorare, dobbiamo imparare a richiamare emozioni e a collegarle ai concetti; per fare questo dobbiamo cogliere il senso profondo e trascendente di ogni situazione. Immaginare, cioè, in che modo tale nozione possa diventare una circostanza tangente al nostro Io. Ne potrebbe nascere così una conoscenza organicamente unità, tenuta insieme dal collante delle emozioni. E, in quest'ottica, si potrebbe far coincidere UNA cultura con la MOLTEPLICITA' delle conoscenze.
Questa pluralità è riferita al modo di interiorizzare l'unica conoscenza; in questo modo possiamo affermare che la cultura è una e che il rischio di omologazione delle persone è allontanato, almeno per il momento.
mercoledì 24 settembre 2008
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