mercoledì 8 ottobre 2008

Verbale dell'incontro con il prof. Pietro Greco

La tematica principale che il dottor Greco ha trattato in questo incontro è inerente al problema della comunicazione della scienza. Ma prima di giungere a parlare di scienza e conoscenza è stato fatto un breve excursus della storia dell’economia: l’uomo da sempre tenta di imbrigliare l’energia biochimica che è presente sul pianeta; con la rivoluzione industriale accanto al valore della materia prima è comparso quello del lavoro; ora, infine, ha avuto inizio una nuova fase caratterizzata dalla produzione di beni materiali e non. Ciò che conta è il grado di conoscenza che mettiamo in questi prodotti. “Il concetto di conoscenza – afferma il dottor Greco – è diverso da quello di informazione”. Negli ultimi anni gli investimenti della società nell’immateriale, e, quindi, nella conoscenza, sono aumentati. La stessa popolazione umana ha cambiato statuto ontologico a livello ecologico, trasformandosi in un attore ecologico globale. Inoltre è stimato che al mondo c’è più ricchezza di quanta ne sia mai stata prodotta nelle epoche precedenti, ma c’è anche una maggiore disuguaglianza nella ripartizione di tale ricchezza. Nella nostra società si producono beni con valori di scienza via via più alti.
Ed ecco un altro excursus, questa volta attraverso la storia della scienza e degli scienziati. Il modo di lavorare di questi ultimi si è evoluto nel corso del tempo. Nei secoli XVII e XVIII si trattava di un modo di lavorare dilettantesco. Non esisteva, cioè, una professione di scienziato. Una primo cambiamento è avvenuto nel XIX secolo, durante la cosiddetta “fase accademica”. Le accademie erano circoli che si sviluppavano al di fuori delle università, ma la scienza accademica, paradossalmente, veniva insegnata nelle università. Lo scienziato, dunque, era pagato per insegnare nelle università: lo Stato, all’epoca, assumeva i connotati di un mecenate. Poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo Stato iniziò a identificarsi nella figura del committente: basti pensare che negli USA, negli anni ’30, 1,5 miliardi di $ erano investiti in ricerca dallo Stato, 30 miliardi di $ negli anni ’50 e, infine, 330 miliardi oggigiorno. Grazie anche alla globalizzazione della conoscenza, nel mondo 1100 miliardi di $ sono investiti in ricerca ogni anno. Da questi dati è possibile trarre alcune conclusioni:

• Nel tempo è cambiato il rapporto tra scienza e società.
• Negli ultimi 10-15 anni per la prima volta la scienza ha cessato di essere un gioco che si svolge in Europa o tra Europa e Nord-America: si tratta di un gioco che si svolge in tutto il pianeta.

Addirittura, oggi è l’Asia il continente dove si investe di più in ricerca. L’Europa è scivolata al terzo posto nella classifica mondiale, investendo l’1,8% della ricchezza prodotta in ricerca, meno della media mondiale, che è pari al 2%.
La nostra vita è sempre più impregnata di scienza: la comunicazione tra il mondo degli scienziati e la società è diventato, ormai, un fatto di vita quotidiana. Comunicare col pubblico di non esperti è una necessità per lo scienziato. Per il pubblico si tratta di una necessità democratica per avere la possibilità di intervenire sui grandi processi scientifici. Ma chi controlla l’informazione scientifica? A scuola la cittadinanza scientifica è declinata in termini politici, sociali, culturali, economici. Ma il punto è la necessità di costruire una cittadinanza scientifica. Il dottor Greco ritiene che la scienza sia un’impresa sociale, collettiva, non solo cognitiva, che si basa sull’osservazione della natura da parte degli scienziati e sulla comunicazione della scienza. Come dice Paolo Rossi, “nel secolo XVII la comunità scientifica abbatte il paradigma della segretezza”. Da questo momento in poi ha inizio la comunicazione pubblica. E chi controlla quest’ultima? È doveroso citare Internet, che però in altre parti del mondo non è così diffuso come in Occidente. Ecco perché il monopolio della produzione della conoscenza è dominio di un’élite.
Per la costruzione della cittadinanza scientifica, anche al fine di promuovere la ricerca di base (curiosity driven), dunque, i mezzi di comunicazione di massa, anche per il loro livello culturale, non rappresentano la piazza ideale. In una società dove i media sono sempre più dipendenti dalla politica, la scuola, in primo luogo, ha il compito di abbattere le barriere tra le varie discipline, in modo da produrre una conoscenza interdisciplinare. La comunicazione mediatica, invece, potrà migliorare in virtù di una forte domanda sociale (Chiara Minotti).

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